di Pietro Grossi
L’inizio della redazione potremmo sempre enunciarlo a suon di effusioni traumatologici. Trauma, in quanto significante, sappiamo bene come abbia una sua radice etimologica greca, ovvero: τραύμα. Cosa potrebbe significare, in termini di concetto - saussurianamente parlando - il significante greco suddetto? Potremmo leggerlo come perforamento, trafittura e in modo un po’ più ermeneutico potremmo dire significhi lesione, ferita, intrusione, ancisione. Abbiamo esplicitato una serie di significanti che apparentemente e, soggiungerei, in modo rimarchevole, pare non abbiano una - geflecht - o potremmo dire un intreccio un’armonia con la titolazione dello scritto in essere. Avremmo dovuto, forse, antecedendo la disamina del senso del concetto fonico esplicitare come il significante sia un rappresentante il so-getto. Non a caso viene, in tale circostanza, anteposto il prefisso "so" elidendo una doppia alla sua desinenza. Sappiamo bene come il soggetto abbia una significativa, rimarchevole, considerevole incisione dell’a-Altro. Potremmo esemplificarlo con una pericope di Derrida: "Egli non sarà stato (un) presente, avrà fatto un dono di non sparire senza lasciar traccia. Ma lasciar la traccia, è anche lasciar-la, abbandonarla, non insistervi in un segno. È cancellarla. Nel concetto di traccia, il ri-trarsi della cancellazione s’inscrive anticipatamente. La traccia s’inscrive cancellandosi e lasciando la traccia della sua cancellazione nel ri-trarsi" (Psyché, invenzioni dell’altro, vol. 1, pag. 209).Nella citazione, pocanzi esplicitata, possiamo scorgere, cat’exochen, il segretum della traccia. Potremmo, in un’analisi molto frugale, dire che la traccia sia la presenza in absentia, ma cosa significa? "egli non sarà stato (un) presente, avrà fatto un dono di non sparire senza lasciar traccia". Nel riecheggiare di tale citazione possiamo capire come la traccia sia l’assenza presente donata-ci. Ancor di più potremmo dire che il dono dell’assenza consiste nella presenza stessa dell’assente che senza lasciar "segno" lascia una traccia. Com’è possibile, avendo bene in mente il significante metonimico etimologico di traccia (tràhere-tirare-trarre) e di segno (sìgnum-sak-mostrare-dire), senza mostrare e/o dire tirare? Potremmo intenderlo come una spinta, una strebung, una incoazione nell’assoluta assenza di una mostrazione, di una esplicitazione. È nell’assenza che vi è la spinta ad essere malcelato nei meandri del proprio Désir. Ecco il dono più grande che viene (sacrum-attaccato) nell’assoluta nescienza del so-getto. Derrida conclude, nella citazione suddetta, dicendo: "La traccia s’inscrive cancellandosi e lasciando la traccia della sua cancellazione nel ri-trarsi", adesso, risulta essere diafano il perché la traccia s’inscrive nel suo ritrarsi; è la sua essenza. In absentia vi può essere traccia, la traccia è l’assenza del segno, poiché laddove il segno s’impone sulla traccia vi sarebbe una confliggenza significante, una deiscenza significante poiché la presenza rappresenterebbe la pauperizzazione nocumentosa per il désir dell’idios. Potremmo a tal riguardo riprendere Sartre dell’essere e il nulla anche se in questa sede sarebbe eccessivamente prolisso dacché si possano esplicitare i temi preposti in nuce nella titolazione.Siamo riusciti a porre in essere uno pseudo-ligando tra désir e différance, perché? È anche malcelato l’inguattato rapporto tra i due. Precedentemente abbiamo usato un’espressione da onomaturgo: so-getto. Qual è il rapporto del so-getto con il significante? Non ci siamo posti altrove se non nella continua ek-sistentia del segno-significante. Lacan Nel seminario VIII esprime in modo molto chiaro il rapporto, in essere, tra so-getto come lo definiamo in questa sede e significante dicendo: "Qual è il rapporto del soggetto con il significante? A livello della catena inconscia abbiamo a che fare soltanto con dei segni. È una catena di segni. Ne consegue che non c’è alcun arresto nel rinvio di ciascuno di questi segni a quello successivo. Infatti, è peculiare della comunicazione tramite segni fare un segno persino di quell’altro al quale mi rivolgo per incitarlo a considerare allo stesso modo mio l’oggetto a cui si riferisce un certo segno. L’imposizione del significante al soggetto lo fissa nella posizione propria del significante. Si tratta dunque di trovare il garante di questa catena che, traferendo il senso di segno in segno, deve arrestarsi da qualche parte; di trovare insomma ciò che ci fa segno che siamo in diritto di operare con dei segni. Sorge qui il privilegio di Φ tra tutti i significanti. E forse vi sembrerà troppo semplice, quasi infantile, sottolineare ciò di cui si tratta all’occasione in questo significante.È un significante sempre nascosto, sempre velato. A tal punto, mio Dio, che ci si meraviglia a vederne la forma all’interno di una rappresentazione o dell’arte, che la rivela come una particolarità, quasi un’impresa esorbitante." (Seminario VIII, pagg. 267-268)Lacan è icastico nella sua esplicitazione significante-metonimica: ci dice, difatti, che il rapporto del soggetto con la catena significante sia, precipuamente, un rapporto di segni. Abbiamo visto con Derrida come il segno sia il segno presente nella condizione d’impossibilita ché tracci. Vi è traccia in absentia del segno. Ecco come in Lacan il segno sia una presenza assente, difatti qualora noi dicessimo, ed è quanto perorato da Lacan, che il soggetto è in rapporto alla catena significante in relazione al segno stiamo asseverando che è in relazione all’Altro che è data l’esistenza stessa del soggetto. Potremmo dire che non esisterebbe soggetto in absentia del segno dacché non vi sarebbe significante della catena rappresentante il rappresentato stesso: ovvero il soggetto eppure è proprio in absentia che si verifica l’esistenza del so-getto nel segno. Questo è un punto cruciale, il punctum pruriens direbbe Derrida di Lacan, poiché "L’imposizione del significante al soggetto lo fissa nella posizione propria del significante. Si tratta dunque di trovare il garante di questa catena che, traferendo il senso di segno in segno" e sicché lo fissa nella posizione propria del significante, non in quanto potrebbe essere, bensì in quanto è in relazione al significante stesso, difatti "All’origine la soggettività non è da un rapporto col reale, ma da una sintassi che il marchio significante genera in esso" (Lacan J., Scritti vol. I, pag. 47)Lo è nella sua, quasi inneità, nella sua prescienza ad-essere. Cos’è, come si chiede Lacan nel seminario VIII ciò che ci fa segno che siamo in diritto di operare con dei segni? E potremmo aggiungere, cos’è che ci rende scienti, cos’è che ci dà contezza del fatto che operiamo con dei segni? Come possiamo leggere, in quanto suddetto, è il significante Phi maiuscolo, il significante dei significanti, il significante che come ci dirà nel seminario VI consente al soggetto di entrare nella catena dei significanti, nella catena dell’Uno per Uno, senonché sappiamo come vi sia dell’Uno, ci dice l’ultimo Lacan. Vi è condizione in una presenza-assente di Phi affinché il soggetto sia tale e dacché sia so-getto colui il quale è gettato sotto la morsa, aprioristica, del significante stesso che rappresenterebbe il desiderio, l’inscrizione, l’incarnazione stessa del desiderio nel cuore dell’Altro."Del desiderio non c’è segno più certo, a condizione che non ci sia più nient’altro se non il desiderio" (Lacan J., Seminario VIII, pag. 268)Scorgiamo del meta-fisico in questa chiosa, perché, il desiderio stesso incarnato nelle trame dell’Altro parrebbe rappresentare il risultato stesso di una astrazione logo-cratica scissa da qualsivoglia diritto di cittadinanza nel segno stesso. Eppure il desiderio è il segno, il desiderio è la rappresentanza che vi sia dell’Uno, che vi sia una trascendenza della trascendenza. Il codice, che come abbiamo visto ci antecede nella nascita, o meglio il marchio, rappresenti ciò che si instilla nell’altro mediante l’Altro pur essendo l’Altro dell’alterità più assoluta, pur essendo una différance. La différance qui parrebbe imperscrutabile, inattingibile, incommensurabile, inintelligibile. Tentiamo adesso di fornire lumi su cosa sia, riprendendo Derrida, tenteremo, altresì, di strutturare una symploké tra Désir dell’analista e Différance non prima d’aver messo in evidenza lo statuto del désir che, esemplificato nel seminario II, lo riportiamo ad integrum: "Qualche volta, il messaggero si confonde col messaggio. Se ha qualcosa di scritto sul cuoio capelluto, non può neppure leggerlo allo specchio, bisogna tosarlo per avere il messaggio. In questo caso abbiamo l’immagine del messaggio in sé? Un messaggero con un messaggio scritto sotto i capelli è di per sé un messaggio?" (Lacan J. Seminario II, pagg, 321-322)Molto chiaramente vediamo in media res lo statuto stesso della psicoanalisi che potremmo sincretizzare, dialettizzare con quanto precedentemente esplicitato. Differiamo per un po’ tale citazione che riprenderemo in seguito apponendo una strutturazione dialettica tra il segno, appena apposto, ed il segno a-venire.Dicevamo della différance, riprendiamo Jacques Derrida: "La différance, l’assenza irriducibile dell’intenzione o dell’assistenza dell’enunciato performativo - chiaro riferimento alla teoria degli atti linguistici di Austin - l’enunciato più "evenemenziale" che ci sia, mi autorizza, tenuto conto dei predicati che ho ricordato, ad affermare la struttura grafematica generale di ogni "comunicazione". Non ne trarrò la conseguenza che non c’è nessuna specificità relativa degli effetti di coscienza, degli effetti di parola (in opposizione alla scrittura nel senso tradizionale), che non c’è nessun effetto di performativo, nessun effetto di linguaggio ordinario, nessun effetto di presenza e di evento discorsivo (speech acts). Semplicemente, questi effetti non escludono quanto in generale viene loro opposto caso per caso, al contrario lo presuppongono dissimmetricamente, come lo spazio generale della loro possibilità." (Derrida J., Limited Inc., pag. 29)La différance la leggiamo come lo iato, sussistente, tra l’intenzione e l’enunciato, tra il momento dello scritto, del segno, ed il momento della lettura, tra l’assenza e la presenza, tra la sincronia e la diacronia, tra il performativo in intensione e la lettura dello stesso. Per riprendere Lacan, tra messaggio e Linguaggio laddove il messaggio è "Il nostro rapporto con il linguaggio va colto al livello per noi più concreto, più quotidiano, quello della nostra esperienza analitica" (Lacan J. Seminario II, pag. 138). È nell’Atto che ritroviamo il linguaggio, è nel concreto del fonabile che troviamo l’Altro del soggetto, l’Altro dell’analizzante a condizione che vi sia quella différance di cui abbiamo perorato poc’anzi e di cui strutturiamo adesso una geflecht citando il seminario VIII di Lacan, certamente in maniera rapsodica, ma siano, tali citazioni, quanto più esemplificative possibile per il telos di tale scritto.Il desiderio non può situarsi, non può porsi e al contempo comprendersi se non in quest’alienazione fondamentale, alienazione che non è semplicemente collegata alla lotta dell’uomo con l’uomo ma al rapporto con il linguaggio.Il desiderio dell’Altro è un genitivo - genitivus indicante quindi una generatività - al tempo stesso soggettivo e oggettivo. [...] Bisogna che teniamo il posto vuoto in cui è chiamato quel significante che non può essere se non annullando tutti gli altri, quel Φ di cui tento di mostrarvi la posizione, la condizione, centrale nella nostra esperienza.La nostra funzione, la nostra forza, il nostro dovere è incontestabile, e tutte le difficoltà si riassumono in questo: bisogna saper riempire il suo posto in quanto il soggetto deve potervi reperire il significante mancante. (Lacan J, Seminario VIII, pagg. 294-295).Il desiderio, potremmo dire, è il situabile nell’insituabile, è la trascendenza continuamente trascesa o potremmo dire con Spinoza una trascendenza immanens poiché è sempre in rapporto con l’Altro della fattizia esistenza. Nell’impossibilità di situare un desiderio bisogna che vi si lasci una beanza, un vuoto per il désir, non per un désir bensì per il désir, il désir che potremmo allocare nel posto di Φ. Perché Lacan ci dice che bisogna che teniamo il posto vuoto in cui è chiamato quel significante? Potremmo dire che il posto vuoto è quello che ritroviamo nelle ultime scene di Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini? Sarebbe, forse, preferibile associarlo alla tinozza presente nell’ultimo lavoro di Pasolini, salò o le 120 giornate di Sodoma ove ritroviamo una tinozza non vuota bensì satollata dal pattume umano. Cosa rappresenta la tinozza ricolma di deiezioni umane? Da qualche parte, disse Lacan, che laddove vi sia l’uomo vi sono le vie fognarie. Non potrebbe esser più dovizioso, difatti, l’essere umano, strutturato in modo rimarchevole nel discorso del capitalismo è ammannito di sicut palea - per dire in modo perifrastico, o merda per esplicitarlo in uno scadimento terminologico - che egli stesso produce. Il luogo dell’analisi è quel luogo ove il mastello lasci il posto alla beanza, lasci il posto a quel vuoto metonimico ove possa apporsi la potenza del desiderio. Dobbiamo altresì precisare come il desiderio possa essere rabberciato laddove si verifichi l’impossibile, laddove venga rabberciato il significante: "Se la psicoanalisi significa qualcosa, è che il soggetto è già impegnato in qualcosa che è in rapporto con il linguaggio, senza essergli identico, e in cui ci si deve raccapezzare." (Lacan J., Seminario II, pag. 324),Con questa espressione di Lacan, afferente al secondo seminario, possiamo locupletare quanto precedentemente introdotto relativamente al messaggio disconosciuto ed egualmente e dialetticamente disconoscente, in cui, la psicoanalisi deve gabellare l’esserci affinché possa reperire-rsi nel linguaggio stesso.Sappiamo bene quanto in Socrate Lacan riveda non l’immagine del filosofo, non l’immagine di colui il quale ricerca la Verità assoluta, bensì, l’immagine del particulare, l’immagine di colui che fornisce la prima interpretazione psicoanalitica disvelando il vero desiderio di Alcibiade. È a livello del transfert che potremmo cogliere il principio dell’idios, leggiamo difatti: "Vediamo qui profilarsi ciò che vi ho già indicato l’ultima volta dicendovi che il posto puro dell’analista, per come potremo definirlo nel fantasma e con il fantasma, sarebbe il posto del desiderante puro." (Lacan J., Seminario VIII, pag. 403)Ecco disvelato il posto dell’analista ed a breve renderemo dialettica la différance e il désir dell’analista. Disvelato nei termini Heideggeriani dell’άλήθεια, l’analista deve occupare il posto del desiderante puro. Ma cosa significa che l’analista occuperebbe il posto del desiderante puro? Anzitutto il puro è l’incontaminato, la purezza è un attributo nevralgico d’ogni elemento affinché non vi siano ingerenze o intrusioni o relazioni frammiste ad altro potenzialmente contaminante, questo è un primo punto. In secondo luogo, il puro, derivante dal latino pùrus - attenendoci alla sua radice - potremmo dire sia la netta differenziazione ed ecco quindi come l’analista è colui il quale si pone in una assoluta ed irriducibile alterità che potremmo esplicitare con Derrida dicendo différance, ad onta dell’analisi che abbiamo esplicitato di tale significante. Laddove la purezza del desiderio del desiderante dovesse subire smottature di tal fatta, tali per cui, non vi sarebbe più un desiderio prosciolto da ogni vincolo all’a-Altro analizzante non potrebbe verificarsi l’incontro con il Reale, con l’ab-senso, con l’impossibile ab-sesso direbbe Lacan, ripreso da Alain Badieu nel suo seminario dedicato all’antifilosofia. Lacan conclude il seminario VIII dicendo: "Ecco dove noi analisti siamo indotti a vacillare, su questo limite dove con qualsiasi oggetto, una volta entrato nel campo del desiderio, si pone la questione: che cosa sei tu? Non c’è oggetto che abbia più valore di un altro: è qui il lutto attorno al quale è centrato il desiderio dell’analista. [...]. Ecco la funzione dell’analista con ciò che comporta di un certo lutto. Cogliamo qui una verità che Freud stesso ha lasciato fuori del campo di ciò che poteva comprendere. [...]. A proposito di chiunque potete fare l’esperienza di sapere fin dove oserete andare interrogando un essere - con il rischio, per voi stessi, di scomparire. (Lacan J., Seminario VIII, pagg. 433-434).Questo potrebbe essere uno dei punti più arzigogolati e reboanti del pensiero di Lacan sicché potremmo e dovremmo fare un condensato del suo pensiero affinché si possa esplicitare, comprensibilmente questa parte. Vi è la necessità di una buona capacità di effettuare una sintesi del pensiero benché si rischi egualmente l’impossibilità di far assurgere alla possibilità della comprensibilità l’enunciato suddetto. La domanda che interessa Lacan non è chi sei tu, che potremmo porre ad onta del be or not to be che troviamo nel sesto seminario, bensì è al livello di che cosa sei tu? Per poi introdurci in una, direbbe Heidegger, abschattung-verkörperung nella disillusione non c’è oggetto che abbia più valore di un altro e questo funge da monito per il lutto dell’analista. Il desiderio del desiderante puro, quale è l’analista stesso non si pone ad un livello di verticalità, come lo ritroviamo, ad esempio, ne il porcile di Pasolini, bensì si pone ad un livello della différance, al livello dello iato nevralgico affinché s’instilli l’antitesi da eromenos ad erastes. Ci poniamo l’ultima domanda per poi locupletare il lavoro con Jacques Derrida, per quale ragione Lacan dice questo: "A proposito di chiunque potete fare l’esperienza di sapere fin dove oserete andare interrogando un essere - con il rischio, per voi stessi, di scomparire." ? il rischio che si corre è quello di scomparire poiché se la psicoanalisi ha il compito di fornire, metaforicamente, il sestante affinché si abbia un humus del linguaggio e all’interno di quest’ultimo che l’essere nasce, che l’essere prende vita, che l’essere prende significanza ad onta del significante che lo rappresenta. Laddove l’essere nasce si sia scienti che è proprio lì che si pone la possibilità di scomparire nell’alienazione al campo dell’Altro. Ecco quindi è "dal segreto, dalla destinerranza" (Donare la morte, pag. 172) che può emergervi il desiderio.
L’autore
Pietro Grossi, Dottore in Psicologia
Bibliografia
Derrida J., Donner la mort, 1999 (ed. it. Donare la morte, Jaca Book, Milano, 2002).Derrida J., Limited Inc., 1990 (ed. it. Limited Inc., Raffaello Cortina, Milano 1997).Derrida J., Psyché. Inventions de l’autre, 1997 (ed. it. Psyché. Invenzioni dell’altro, 2 voll., Jaca Book, Milano, 2008).Lacan J., Le séminaire 1953-1954, Livre I, Les écrits techniques de Freud, edito nel 1975 (ed. it. Il seminario, Libro I, Gli scritti tecnici di Freud, Einaudi, Torino, 2014).Lacan J., Le séminaire 1954-1955, Livre II, Le moi dans la théorie de Freud et dans la technique de la psychanalise, edito nel 1978 (ed. it. Il seminario, Libro II, L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino 2006).Lacan J., Le séminaire 1960-1961, Livre VIII, Le transfert, edito postumo, 1991 (ed. it. Il seminario, Libro VIII, il transfert, Einaudi, Torino, 2008).Reggio Calabria, 26 Agosto 2018
Dr. Pietro Grossi