di Valentina Moscato e Gabriele Romeo
Jacques Lacan il 7 Novembre 1955 pronunciò alla Clinica Neuropsichiatrica dell’Universität Wien una conferenza intitolata "La Cosa Freudiana" nella quale sosteneva l’opportunità di fare ritorno agli enunciati teorici di Freud; essa è reperibile nel 1 vol. degli Scritti, pagg. 351-428, pubblicati da Einaudi nel 2002.
Paragonando attentamente la dottrina freudiana e quella lacaniana, in effetti non si riscontra un ritorno nel vero senso della parola ma un percorso che pur partendo dagli assunti freudiani si sviluppa in modo abbastanza diverso ed autonomo. Stando così le cose, viene spontaneo chiedersi cosa intendesse Lacan sponsorizzando un ritorno a Freud.
Per seguire Lacan nel suo ragionamento, è necessario far riferimento alla cornice storico-culturale della psicoanalisi dell’epoca, contrassegnata da un lato dal filone della Teoria delle Relazioni Oggettuali e dall’altro della Psicologia dell’Io, entrambe comportanti, a detta di Lacan, un allontanamento dalla centralità dell’Edipo, della figura paterna e dell’inconscio. Il paradigma metapsicologico della Teoria delle Relazioni Oggettuali è proteso verso il periodo di vita pre-edipico e pertanto concentra il focus delle sue attenzioni sulla diade madre-bambino; la Psicologia dell’Io invece ha posto come struttura centrale della psiche psichica l’Io in generale e la sua componente conscia in particolare e come dinamica principale la sua funzione di adattamento al mondo esterno.
Lacan concentra i suoi strali proprio sulla Psicologia dell’Io che vede come un tentativo di creare una nuova psicoanalisi diversa e lontana da quella freudiana. E’ da dire che la lontananza di Lacan dalla Psicologia dell’Io fu dovuta, oltre che a divergenze teoriche, anche a fatti storici; Lacan, infatti, fece la propria analisi didattica, caratterizzata da un transfert assolutamente negativo, con Rudolph Maurice Loewenstein, che non solo era uno Psicologo dell’Io ma rientrava nel circolo dei più fedeli del leader dell’epoca di tale orientamento, Heinz Hartmann. Non è un caso che Lacan si dimise nel 1953 dalla Société Psychanalytique de Paris per disaccordi con Sasha Nacht, leader francese della Psicologia dell’Io e per conseguenza fu considerato dimissionario anche dall’International Psychoanalytical Association, in sigla IPA, all’epoca diretta da appunto da Hartmann. Assieme ad altri, fra i quali Daniel Lagache e Françoise Dolto, fondò la Société Française de Psychanalyse che non fu mai ammessa all’IPA per la decisa opposizione di Hartmann dovuta alla presenza in essa proprio di Lacan, considerato eretico e deviazionista.
Hartmann ed i suoi seguaci sostengono che l’Io, cosciente e razionale, ha a che fare con due nemici: con le proprie pulsioni interne, e con il mondo esterno che pone delle richieste sempre più forti e difficili; ne consegue che il conflitto si scatena quindi non per forza dell’Es, ma per debolezza dell’Io qualora esso perda le proprie capacità mediatrici. Per questi motivi in terapia le interpretazioni hartmanniane, rivolgendosi maggiormente al conscio ed al subconscio,toccano poco o per nulla l’inconscio. Sostanzialmente la funzione etica dell’analisi è dunque una funzione di rafforzamento dell’Io per facilitare il migliore adattamento dell’Io alla realtà sociale esterna. È proprio contro tale fine, contro l’idea che l’analisi e l’analista siano dei rappresentanti della società esterna e dei facilitatori dell’adattamento, che Lacan si scaglia fin dai suoi primi atti pubblici; egli asserisce che: "Sull’inconscio, bisogna andare al dunque dell’esperienza freudiana. L’inconscio è un concetto forgiato sulla traccia di ciò che opera per costituire il soggetto" (Scritti, vol. II, 1960, p. 833). L’inconscio, così come Freud lo presenta nelle sue tesi, non è sede dell’istintualità animale che l’Io dovrebbe imparare a governare (secondo l’ottica invece della Psicologia dell’Io), ma è qualcosa di ben strutturato e a se stante, essendo esso un Altrove, cioè un "luogo presente per tutti e chiuso ad ognuno in cui Freud ha scoperto che, senza che ci si pensi, e dunque senza che qualcuno possa pensare di pensarci meglio di un altro, c’è chi pensa, ça pense. Che pensa piuttosto male, ma pensa fermamente: Freud annuncia l’inconscio proprio in questi termini: pensieri che, anche se le loro leggi non sono affatto le stesse di quelle dei nostri pensieri, nobili o volgari, di ogni giorno, sono però perfettamente articolati" (Scritti, vol. II, 1960, p. 544); da qui scaturisce il famoso postulato "L’Io è strutturato come un linguaggio" (Scritti, vol. II, 1960, pp. 7-58).
Questa concezione è dunque palesemente in contrasto con la visione di un inconscio istintuale, irrazionale, primitivo, pre-linguistico. Lacan sostiene, infatti, che i post-freudiani non hanno colto l’intuizione più profonda di Freud riguardo all’inconscio, infatti, essi hanno pensato l’inconscio come una sorta di retroterra mentale, senza considerarlo invece come "dimensione costitutiva della soggettività umana, priva di coscienza, che nondimeno parla e dunque pensa. La scoperta di Freud, secondo Lacan, consiste nello sconvolgere l’adagio di Cartesio: io penso, dunque sono" (Anèpeta, Introduzione a Lacan, 2004) per tramutarlo in "Io penso dove non sono, dunque io sono dove non penso"(Anèpeta, Introduzione a Lacan, 2004).
Lacan sosteneva inoltre che il ritorno a Freud serve anche a recuperare la «nozione di soggetto rivista a partire dall’esperienza freudiana» (Scritti, vol. I, 1955). Con queste parole Lacan sottolineava l’importanza del «ritorno a Freud» per riconsiderare lo statuto del soggetto che viene messo in questione dalla psicoanalisi. L’esperienza clinica psicoanalitica è infatti, contraddistinta dalla constatazione che una dimensione altra (inconscia) abita il cuore dell’Io. Al riguardo Lacan nel suo intervento a Vienna disse: "Infatti, quel soggetto di cui parlavamo come del legatario della verità riconosciuta, non è affatto l’io percepibile nei dati più o meno immediati del godimento cosciente o dell’alienazione del lavoro. Questa distinzione di fatto è la stessa che si trova dall’α dell’inconscio freudiano all’ω del famoso assioma freudiano "Wo Es war, soll Ich werden", tradotto classicamente come "Dove c’era l’Es ci sarà l’Io", in quanto un abisso lo separa dalle funzioni del conscio. L’Io è la sede di percezioni e non il leggio, ma in ciò esso riflette l’essenza degli oggetti che percepisce e non la propria come se la coscienza fosse suo privilegio, giacché le sue percezioni sono per la maggior parte inconsce" (Scritti, vol. I, 1949, p. 407-415). Terminio evidenzia che c’è una dimensione inconscia che alberga il cuore dell’Io per cui il ritorno a Freud deve essere anche inteso come ritorno al soggetto dell’inconscio e all’eterogeneità tra esso (Je) e l’Io (Moi). Quest’ultimo corrisponde all’immagine speculare di sé che il bambino acquisisce nella fase dello specchio (tra i 6 e i 18 mesi), quando incrociando lo sguardo della madre su di lui allo specchio, percepisce di essere desiderato (di essere oggetto di desiderio dell’Altro) proprio perché Altro (separato, distinto e diverso) e quindi diviene consapevole di sé. In tal senso il desiderio dell’uomo trova senso nel desiderio dell’Altro non tanto perché l’Altro detiene le chiavi dell’oggetto desiderato, quanto perché il suo primo oggetto (di desiderio) è essere riconosciuto dall’Altro. Io mi riconosco e amo me attraverso lo sguardo che l’altro ha su di me e l’immagine di me che l’altro mi rinvia. Il bambino definisce la sua identità in funzione dell’immagine che la madre ha di lui. Si tratta di un’identità immaginaria ed eteroriflessa, in conseguenza della quale il bambino desidera essere ciò che la madre vuole ch’egli sia.
In seguito Lacan definirà Io-ideale questa forma primordiale dell’Io, sottolineandone il carattere fittizio, che è comunque funzionale per far emergere una prima forma di consapevolezza nel bambino. Recalcati sostiene che il riconoscimento di sé avviene grazie all’Altro che accoglie, come direbbe Lacan, il nostro essere grido nella notte che umanizza la vita; infatti: se non sono desiderato dall’Altro come posso desiderare da me per me? Se non sono desiderio dell’Altro non posso riconoscermi come oggetto desiderante e che a sua volta desidera, ma che ancora prima esiste e in quanto esiste Desidera. È a questo punto che si avvia nell’esperienza del soggetto sia la scoperta della propria identità sia l’alienazione che ne consegue: tra il moi che viene a costituirsi e il soggetto dell’inconscio (je) che non si lascia reperire nell’immagine speculare. Un soggetto dell’inconscio custode del Desiderio, inteso come Vocazione che definisce la nostra soggettività, la nostra autenticità, un desiderio che se da bambini si realizza soddisfacendo il desiderio dei propri genitori (in virtù del moi), alla lunga tali identificazioni infantili non bastano per sostenere il soggetto a desiderar in proprio, come l’adolescenza insegna.
A questo punto Lacan osserva che non deve avvenire la colonizzazione dell’inconscio da parte dell’Io, com’è sempre stato nel percorso culturale dell’Occidente, ma è necessario il ritorno dell’Io all’inconscio. Di conseguenza Galimberti afferma che per scoprire le radici del proprio essere l’Io deve ritornare all’inconscio o all’Es per cui nella dottrina lacaniana l’assioma freudiano "Wo Es war, soll Ich werden" non si dovrà tradurre "Là dove era l’Es, deve venire l’ Io" ma "L’Io deve avvenire là dove era", ossia deve percorrere a ritroso il sentiero che porta all’inconscio. Accogliere e non respingere l’inconscio non significa affermare lo scatenamento della trasgressione pulsionale, così come non vuol dire nemmeno possesso mortifero dell’Es da parte dell’Io, incatenar l’inconscio, ma esserne i protettori.
Il ritorno a Freud in senso lacaniano si configura anche come centralità dell’Edipo, che secondo Freud è il secondo assioma portante della psicoanalisi (il primo è l’inconscio); proprio con il complesso edipico da un punto di vista evolutivo il bambino vivrà le dinamiche, sia pure a livello fantasmatico, ma che saranno cruciali per il suo sviluppo, quali l’attrazione/abbandono del primo oggetto d’amore da cui dipenderà la scelta d’amore oggettuale da adulto, l’apertura alla relazione triadica (il padre), l’emergere del Super-io e della Legge del Padre di lacaniana memoria. Quest’ultima è stata introdotta da Lacan per indicare innanzitutto uno spartiacque tra il periodo pre-edipico che è arcaico, confuso, non logico, immaginale e magico e quello edipico che dà accesso, grazie al Nome del Padre, all’ordine simbolico, al linguaggio verbale, alla logica e alla razionalità. Lacan definisce la Legge del Nome del Padre ciò che permette al bambino di rimuovere il desiderio sia di desiderare la madre sia di desiderare ciò che la madre desidera che egli sia, ossia il fallo, simbolo di ciò che a lei manca. Il fallo non è un organo, né un oggetto, né una fantasia ma si potrebbe definire l’essenza della mascolinità. La legge del padre quindi conduce alla repressione del desiderio del bambino di rimanere assoggettato al desiderio della madre e di potersi così costituirsi come soggetto desiderante, che manca di qualcosa e che lo ricerca nel corso della sua esistenza. Questa legge si configura come atto di interdizione al godimento pulsionale illimitato e introduce una mancanza, quella del godimento proibito che però rappresenta la premessa per la ricerca di un godimento permesso che è per l’appunto il desiderio. Non c’è Legge senza desiderio, non c’è desiderio senza legge. La vera funzione del Padre è quella di unire (e non di opporre) un desiderio con la Legge. La Legge del Padre è la legge simbolica della castrazione che implica per il bambino l’esperienza del limite che non mortifica o abolisce il godimento, il Desiderio, ma lo rende vitale, lo sottrae dall’essere una mera spinta acefala, bruta, animale, dando "la possibilità di raggiungere un Altro godimento rispetto a quello mortale che non è oppressione della vita, ma la sua possibile liberazione" (Recalcati, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, 2013, p. 31). Anzi non c’è desiderio senza Legge, perché se così fosse il soggetto sarebbe travolto solo dal godimento senza desiderio, annientato da cieca pulsionalità. Infatti, l’esperienza del limite viene ad essere l’unica legge che non solo umanizza la vita, senza la quale la stessa sarebbe pura esistenza animale, ma è anche l’unica legge che introducendo il limite permette ad ogni soggetto di interrogarsi su ciò che realmente vuole da sé in sé, rispetto ad un desiderio che possa sostanziare la propria esistenza, piuttosto che lasciarsi travolgere da un godimento fine a sé stesso, che ripete continuamente l’insoddisfazione e che risulta essere al servizio della pulsione di morte. Cingolani dice al riguardo "Allora la legge del limite permette l’introduzione di una mancanza, unica e sola opportunità per interrogare il desiderio" (Il Padre e la Legge, pag. 1, 2018). Rinforza tale concetto Recalcati "Una legge che laddove è assente comporta che il desiderio, anziché umanizzare la vita, "diviene solo pulsione di morte [...] una spinta a godere al di là del desiderio [...] una spinta avida a godere della propria vita sino alla morte" (Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, 2013, pp. 50-51). Un Padre è tale solo se trasmette ai suoi Figli il dono del limite al godimento e attraverso questo limite l’opportunità e la possibilità di accedere al desiderio come scelta futura, come apertura verso un proprio avvenire, come prospettiva verso la vita. Recalcati, infatti, scrive "Il padre agisce come portatore della Legge che proibisce il godimento incestuoso e, al tempo stesso, come colui che offre in eredità il senso della Legge, non come castigo, ma come possibilità della libertà, come fondamento e supporto del Desiderio [...]. Trasmettere la Legge non in opposizione al desiderio ma come supporto al desiderio" (Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, 2013, p. 37).
Il termine più adatto a definire l’inconscio freudiano è: desiderio. L’inconscio è il desiderio e il desiderio inconscio è indistruttibile, nel senso che è atemporale, ma soprattutto per il fatto che non può essere governato, né misurato, né esorcizzato. Esso non si può addomesticare, gestire, controllare, per cui è indistruttibile. Recalcati specifica che desiderio indistruttibile significa anche: "senza misura, impossibile da misurare, ovvero impossibile da adattare alla realtà, impossibile da curare, impossibile da guarire" (Elogio dell’inconscio: dodici argomenti in difesa della psicoanalisi, 2007, p. 39). Il desiderio è quanto di più personale, proprio, esclusivo si possariconoscere al soggetto; non coincide con i bisogni fisiologici, con la pulsione, ama è altro, ovvero è Vocazione che chiama a sé e ricerca sé; per questo Lacan asserisce che l’unica colpa del soggetto è quella di rinunciare al proprio desiderio. La vera colpa dal punto di vista psicoanalitico non consiste nella trasgressione della Legge, ma nel rinunciare adassumere soggettivamente il proprio desiderio: Tugnoli infatti scrive "Anziché diventare ciò che si è, dunque anziché dire di sì al proprio desiderio, la colpaconsisterebbe nell’allontanarsi da ciò che si è, dalla verità delproprio desiderio [...]. Ma per quanto si ignori e si calpesti, la verità del proprio desiderio ritorna in superficie manifestandosi nella forma di sintomo o lapsus. La sofferenza che procura una colpa inconscia funziona come avvertimento: ricorda al soggetto che ha deviato dal proprio desiderio, che ha tradito sé stesso" (Il soggetto dell’inconscio. Recensione di Massimo Recalcati, Elogio dell’inconscio. Dodici argomenti in difesa della psicoanalisi, 2013, p.7).
Tugnoli sostiene quindi che la psicopatologia non è da ricondurre a un Io debole o non strutturato, ma al contrario a un suo eccessivo rafforzamento in quanto più esso si rafforza, convincendo il soggetto di essere un io, più si incammina verso la follia, riconfermando quanto detto da Lacan che credersi un io è la vera follia. L’ipertrofia dell’Io, l’irrigidimento narcisistico della propria identità apre la strada per l’autodistruzione, poiché soffoca il respiro necessario alla vita, il suo nutrimento che è la relazione con l’Altro. L’Io non deve cadere nella trappola della falsa illusione e della seduzione narcisistica dell’io padrone. La sofferenza psicopatologica nasce quindi dal volersi sbarazzare dell’inconscio, dalla falsa persuasione di essersene liberati, di essere solo un io. La patologia psichica germoglia laddove il soggetto si separa dal proprio inconscio per cui più si difendono i confini identitari e maggiore è il rischio dell’autodistruzione, come accade nelle malattie autoimmuni, in cui una difesa eccessiva dell’organismo da parte del suo sistema immunitario può provocare attacchi distruttivi allo stesso organismo. Compito della psicoanalisi sarà dunquequello di allentare, indebolire la padronanza dell’Io, sfatandol’ideale del controllo. Un eccesso di difesa conduce alla malattia, l’Iodiventa totalitario, fino a cancellare il soggetto dell’inconscio. Tant’è vero che come osservato da Freud i sintomi sono una formazione di compromesso, per cui contemporaneamente difendono dai desideri messi al bando dalla coscienza e al tempo stesso li soddisfano in modo mascherato; ne consegue pertanto che i sintomi vanno trattati come manifestazioni della verità rimossa, diventando quindi occasioni per il soggetto di incontrare la Verità propria. L’analista si mette in relazione con il soggetto dell’inconscio, non per governarlo o distruggerlo, svelando il significato del sintomo al soggetto in cura, ma, in senso maieutico, per segnalare al paziente che laddove soffre, lì c’è un senso che lo riguarda, lì deve esserci un inciampo alla sua vita. Recalcati afferma al riguardo che non ci si dovrebbe orientare ad estirpare il sintomo ma a farlo parlare. Lacan sostiene quindi che gli effetti terapeutici accadranno in sovra più, come effetto della presa di parola dell’inconscio attraverso la verità rimossa che ritorna attraverso il sintomo e Recalcati rinforza il concetto sostenendo che la meta della psicoanalisi non è il benessere, ma la Verità, riferendosi all’indicazione socratica del conoscere sé stessi, come autenticità e non come adeguamento alla cosa reale esterna da sé.
Con e dopo Freud, si delinea un nuovo concetto di responsabilità, per cui l’individuo deve riconoscere l’inconscio e farsene carico, cosa che implica un confrontarsi con il limite dell’Io, nella consapevolezza che esiste un territorio esterno all’Io di cui l’Io devetener conto. Usando le parole di Tugnoli diremo che "L’Io non respinge l’inconscio né vi si abbandona, ma lo riconosce come suo, come appartenente alla sfera egoica; l’Io riconosce come propri i desideri inconfessabili, la ragione percepisce i propri limiti e può così ampliare la sua funzione. L’eticadella psicoanalisi non nega ma include l’esistenza dell’inconscio nella sfera della responsabilità. L’inconscio è l’Altro dell’Io, è il luogo costituito dai significati che hanno costruito l’esistenza del soggetto nel tempo" (Il soggetto dell’inconscio. Recensione di Massimo Recalcati, Elogio dell’inconscio. Dodici argomenti in difesa della psicoanalisi, p. 4, 2013).
Uno sbaglio comune è quello di pensare che la psicoanalisi focalizzi l’attenzione per l’esistenza dell’uomo, solo verso i primi cinque-sei anni di vita, come se gli eventi successivi fossero la mera risultante meccanica delle primissime esperienze, come se il futuro fosse già scritto, determinato, fissato, in pratica già avvenuto. Tugnoli al riguardo risponde così "Certamente l’inconscio è anche memoria di ciò che, irreversibilmente e fatalmente, è già stato; ma a questa accezione platonico-idealistica dell’inconscio, Recalcati aggiunge un movimento di ricostruzione e reinterpretazione, che caratterizza ogni rimemorazione efficace. Ogni volta che ricostruiamo il nostro passato siamo indotti a ridargli forma, a soggettivarlo, quale condizione per intraprendere un nuovo cammino" ed ancora " L’analista infatti non ascolta l’Io, come potrebbe fare un confessore, ma l’inconscio del paziente, poiché la relazione fondamentale è quella tra il soggetto e il suo inconscio, non tra analista e paziente. La vera psicoanalisi noninstaura una relazione in cui l’analista a ogni domanda fornisce una risposta pronta, assumendo quindi una posizione autoritaria, bensì una relazione che privilegia la domanda. L’analisi non è un intervento sul soggetto per liberarlo, ma lo sforzo di far sì che il soggetto scopra la verità del proprio desiderio inconscio" (Il soggetto dell’inconscio. Recensione di Massimo Recalcati, Elogio dell’inconscio. Dodici argomenti in difesa della psicoanalisi, 2013, p. 11).
Lacan nei capitoli XIII e XIV del Seminario XI, compie una riflessione sulla teorizzazione freudiana di pulsione e della sua distinzione rispetto al concetto di desiderio che in Freud era stata delineata, ma non approfondita. Innanzitutto per lo psicoanalista francese, il termine freudiano Trieb non va inteso tanto come pulsione biologica ma come Domanda d’Amore significante ed inconscia. La pulsione orale è una domanda rivolta all’Altro di nutrimento, invece quella anale è una domanda degli altri, ad esempio della madre di rilasciare gli escrementi. Nonostante ciò, Trieb non è solo ed esclusivamente uno scambio dialettico con gli altri poiché tende anche al godimento in una forma autoerotica. Al tempo stesso, la pulsione è situata da Lacan nell’ordine del significante, ha una struttura simbolica e il Wunsch è il significato della catena significante della pulsione; ciò vuol dire che, a partire da una rilettura di Freud filtrata in Lacan da De Saussurre e Jakobson, la pulsione rappresenta il significante, rispetto cui il desiderio è il significato per cui il movimento pulsionale si aziona per cercare il suo appagamento tramite l’oggetto, entra nella catena del significante e mette in moto il desiderio che tende verso l’oggetto stesso. Lacan tuttavia distingue l’oggetto verso cui si rivolge il desiderio dall’oggetto che causa il desiderio. Esso è l’oggetto piccolo a, ovvero la mancanza strutturale, ciò di cui il soggetto è privo. Si tratta di un oggetto perduto a causa dell’azione del grande Altro che per Lacan è l’azione del linguaggio, che provoca sul corpo vivente un effetto di se-partizione, attua dei tagli simbolici, che privano il corpo stesso di una parte di godimento, rendendolo perduto; nella visione freudiana ciò si verifica al momento dello svezzamento che comporta la perdita del seno. E’ l’assenza strutturale a rendere possibile il sorgere del desiderare e quindi a permettere di essere un soggetto desiderante in quanto l’essere umano anela incessantemente a ritrovare l’oggetto perduto nel campo dell’Altro, nonostante sia irrecuperabile, anzi è proprio l’impossibilità ad averlo, la sua assenza incolmabile ad alimentare continuamente il desiderio stesso. Lacan parte dal presupposto che il soggetto è un manque-à-être, una mancanza a essere e proprio in quanto tale il soggetto è desiderio, ovvero desidera di raggiungere ciò che gli consentirebbe ad essere. C’è questa continua tensione nel soggetto a desiderare, in virtù del suo manque-à-être che scaturisce dal vissuto di privazione derivante dalla fuoriuscita del corpo materno. La nascita, interrompendo la simbiosi diadica madre-bambino che consentiva al piccolo dell’uomo di avere tutti i suoi bisogni soddisfatti dal corpo della madre stessa, fa terminare così l’epoca del bisogno e fa insorgere quella della domanda. Il pianto del bambino è in effetti una domanda, cioè un appello all’Altro che da un lato è come una specie di formula magica con cui domandare un rientro nel ventre perduto e dall’altro è un chiedere all’Altro il permesso di desiderare. Quindi la domanda è sostanzialmente una domanda d’amore, di essere riconosciuto dall’Altro e attraverso l’Altro. Al riguardo Lacan scrive che: "forse non è nemmeno necessario che il bambino sia già arrivato a parlare perché si faccia valere il marchio, l’orma impressa sul bisogno dalla domanda, com’è dimostrato dai suoi vagiti alternanti [...]. Quando affermo che sa già parlare, intendo dire che, [...] c’è qualcosa che va al di là della presa nel linguaggio. C’è, per essere più precisi, rapporto con l’Altro, in quanto c’è appello all’Altro come presenza, presenza su uno sfondo di assenza [...]. L’Altro di cui si tratta è colui che può dare al soggetto, la risposta, la risposta al suo appello [...]. La questione di che cosa voglia è posta all’Altro, è posta da dove il soggetto fa il suo primo incontro con il desiderio, il desiderio in quanto è anzitutto desiderio dell’Altro" (Seminario VI, 1958-1959, pp.17-18-20). La domanda pulsionale ha quindi come significato il desiderio nel soggetto, che non trovando un oggetto adeguato che lo soddisfi, a causa della mancanza strutturale, fa sì che il desiderio dell’uomo non può che articolarsi come il desiderio dell’Altro, rispetto al quale "il genitivo è sia oggettivo che soggettivo: io desidero ciò che l’Altro desidera, io desidero essere desiderato dall’Altro", come precisato da uno di noi G. Romeo e da A. Oliverio in "Desiderio, motivazione, istinto e pulsione. Una ridefinizione per una nuova metapsicologia, 2018". Secondo Recalcati la logica della pulsione non è di stampo biologico-evolutivo, ma è relativa alla dimensione significante della domanda, tantoché a differenza delle funzioni biologiche che hanno sempre un ritmo, una forza che si esaurisce, Trieb ha come parte nucleare l’essere una forza costante, inesauribile, divenendo una domanda insaziabile; esso, tuttavia, non si soddisfa di alcun oggetto specifico, mostrando ancora una volta il carattere impossibile della soddisfazione stessa e il suo essere un’energia sempre in potenza. Questa teoria lacaniana richiama alla mente il saggio di Freud "Pulsioni e le loro vicissitudini" (1915), in cui il padre della psicoanalisi definisce la pulsione come una forza costante che opera all’interno dell’organismo, cui non ci può sottrarre mediante la fuga come nel caso degli stimoli esterni. È una spinta che si colloca tra il somatico e lo psichico, preme per scaricarsi, generando tensione che è avvertita come spiacevole e che diviene più forte . quanto più vi è un incremento dell’eccitazione prodotta dal trascorrere del tempo fin quando essa non venga soddisfatta. Come sostenuto da Freud "In progetto di una psicologia", il funzionamento del sistema nervoso è caratterizzato dall’eccitamento neuronico, indotto da stimolazioni interne o esterne che è da considerarsi come una quantità in movimento. Un aumento energetico verso cui gli stessi neuroni tendono all’inerzia, ovverosia alla riduzione del suo livello a zero (principio d’inerzia), per poter così eliminare il dispiacere collegato all’accrescimento energetico e procurare il piacere legato alla sensazione della scarica; azzerare l’intera quota di energia sarebbe tuttavia impensabile per la sopravvivenza dello stesso organismo in quanto per appagare i bisogni fondamentali, quali la fame, la respirazione e la sessualità, prodotti da stimolazioni interne, è necessario compiere un’azione nel mondo esterno che per essere realizzata richiede un determinato investimento energetico. Per questi motivi il sistema nervoso tende "a sforzarsi a mantenere quanto più basso il livello di Qn, e per impedire ogni aumento di tale livello, ossia per mantenerlo costante" (S. Freud, Le opere complete di S. Freud, 1895, pubblicato postumo nel 1950, pag. 1510). Al riguardo Freud sostiene che l’organismo tende all’omeostasi, cioè all’equilibrio energetico, come postulato dal principio di costanza e dall’eliminazione delle cariche energetiche in surplus, in virtù del principio di inerzia, rinominato più efficacemente da uno di noi G. Romeo e da A. Oliverio, Principio di Eccedenza in "Desiderio, motivazione, istinto e pulsione. Una ridefinizione per una nuova metapsicologia, 2018".
Compiuta questa disamina storica, gli Scriventi esporranno il loro pensiero nell’ambito del rinnovamento del pensiero psicoanalitico sostenuto dalla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica e Gruppoanalitica, in sigla SPPG. Noi riteniamo che le intuizioni di Freud siano state talmente rivoluzionarie e talmente anticonformiste da mettere in crisi tutti i convincimenti dell’epoca ed ancora oggi, nonostante l’apparente rivoluzione sessuale facciano ancora paura. Noi vogliamo ritornare a Freud ma non solo come aggancio su qualche punto di contatto per aggiungere nuove idee come ha fatto Lacan ma riprendendo l’intera teoria freudiana, aggiornandola con le scoperte delle neuroscienze ed integrandole con i punti di vista tracciati da altri Autori sia classici quali lo stesso Lacan, Erich Fromm, Renè Arpaud Spitz, Paul Federn, Heinz Hartmann sia più recenti quali Otto Kernberg, Peter Fonagy, Glen Owens Gabbard sia gruppoanalitici quali Wilfred Ruprecht Bion, Siegmund Heinrich Foulkes, Franco Di Maria, Girolamo Lo Verso. Il ritorno a Freud deve necessariamente basarsi su due presupposti, peraltro considerati basilari dallo stesso padre della psicoanalisi, il rimettere al centro della teoria il Complesso di Edipo e l’Inconscio, in particolare in quella sua componente che è l’Es. Per questo motivo la nostre teoria si chiamerà Psicologia dell’Es.
Bibliografia
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Dott.ssa Valentina Moscato, Psicologa clinica, specializzanda presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica e Gruppoanalitica di Reggio Calabria.
Dr. Gabriele Romeo, Medico, Psicologo, Psicoanalista, Coordinatore Didattico, Docente, Analista Didatta e Supervisore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica e Gruppoanalitica di Reggio Calabria.
Reggio Calabria 17 Marzo 2019